Perché compriamo? La psicologia del consumatore

Sulla sinistra, il logo di Groweb e il titolo dell'articolo: "Perché compriamo? La psicologia del consumatore". Sulla destra, l'immagine di un cervello e, accanto ad esso, quattro shopping bag.

Ti è mai capitato di entrare al supermercato per comprare solo il caffè e uscire due ore dopo con cinque buste piene di biscotti, cereali, yogurt, tazzine, tisane alla papaya – e, cavolo, niente caffè? 

Se la risposta è sì, ecco una buona notizia: non hai un disturbo da shopping compulsivo – a meno che unə terapeuta specializzatə non ti abbia detto il contrario: in tal caso, ignora pure quanto segue. Probabilmente, sei solo statə condizionatə da una serie di processi mentali ed emotivi che, secondo la psicologia del consumatore, si attivano per effetto di specifiche tecniche di marketing.

Cosa significa, di preciso? Scopriamolo insieme.

Watson e Skinner: pionieri della psicologia del consumatore

La psicologia del consumatore è una branca della psicologia che indaga i processi cognitivi ed emotivi che influenzano e indirizzano le scelte di consumo. In pratica, osserva il modo in cui percepiamo i prodotti, rispondiamo agli stimoli pubblicitari e ci orientiamo tra le diverse opzioni di acquisto. 

Gli studi pionieristici che hanno dato origine alle moderne teorie risalgono alla prima metà del Novecento. È quello, infatti, il periodo in cui professionisti come Watson e Skinner iniziarono a esplorare il comportamento umano attraverso una serie di esperimenti.

Nello specifico, Watson teorizzò il behaviorismo, sostenendo la possibilità di condizionare la condotta individuale attraverso l’associazione di stimoli e risposte. Detta facile (forse): il comportamento è il risultato dell’associazione di date esperienze a dati stimoli, e può quindi essere influenzato dalla selezione degli stimoli da associare alle esperienze. 

Dal canto suo, Skinner sviluppò il concetto di condizionamento operante, suggerendo che l’apprendimento di un comportamento è influenzato dalle conseguenze dello stesso. Detta facile: se quando tocco il forno acceso mi brucio, è probabile che non ripeterò l’azione; se, invece, ricevo cento euro in regalo, è probabile che la ripeterò.

Sebbene queste teorie non fossero, originariamente, strettamente legate all’economia e al marketing, hanno generato una serie di riflessioni che, nel tempo, sono divenute un vero e proprio filone, florido di notevoli contributi. Vediamone qualcuno.

Effetto Gruen

La teoria dell’effetto Gruen si basa sull’idea che, all’interno di uno spazio appositamente progettato, la cognizione logico-temporale dell’individuo può essere alterata in modo da prolungare la sua permanenza, stimolare la sua curiosità e aumentare le possibilità di acquisto. 

Padre della strategia è Viktor David Grünbaum, anche noto come Victor David Gruen, un architetto austriaco che, nel 1956, fu incaricato di progettare un centro commerciale negli Stati Uniti. Ed ebbe un’idea rivoluzionaria: creare non un semplice agglomerato di negozi, ma un vero e proprio punto di ritrovo per la comunità, uno spazio dove trascorrere il tempo libero e rilassarsi, da soli o in compagnia.

Il centro commerciale di Gruen trasformava lo shopping in un’esperienza multisensoriale piacevole e ricca di stimoli. Così, suscitava nei visitatori il desiderio di restare, anche in assenza del bisogno di acquistare. Questo generava un interessante fenomeno: perdendo di vista il reale motivo che li aveva condotti al centro commerciale, i clienti finivano per rivolgere l’attenzione verso una più ampia gamma di prodotti e comprare oltre il necessario.

In pochi decenni, la tecnica fu adottata da GDO, supermercati e grandi magazzini in tutto il mondo – e, ancora oggi, è ampiamente utilizzata.

Effetto Gruen e retail moderno: il caso IKEA

Un celebre e riuscito esempio di applicazione dell’effetto Gruen è IKEA. Tutti i negozi della multinazionale svedese, infatti, prevedono per l’utente un percorso predefinito che guida, lentamente, all’esplorazione di ogni sezione – anche quelle che non si aveva intenzione di visitare.

La presenza di stanze arredate e illuminate, inoltre, rende l’esperienza altamente immersiva e coinvolgente, attivando desideri e bisogni latenti e spingendo il cliente a comprare d’impulso.

E quindi sì, c’è un motivo se hai la casa piena di Kallax, Billy e orsetti astronauti di peluche. Non è colpa tua. È colpa di Victor.

Altre teorie legate alla psicologia del consumatore

Naturalmente, l’effetto Gruen non è l’unica teoria legata alla psicologia del consumatore: il terreno è fertile e rigoglioso.

Abbiamo già parlato della Social Proof di Cialdini, delle euristiche di Tversky e Kahneman e del modello dell’elaborazione dell’informazione di Petty e Cacioppo nell’articolo dedicato alle recensioni online – trovi tutto qui. Ma ci sono molti altri orizzonti da conquistare.

Il principio di scarsità

Teorizzato da Cialdini (ancora), il principio di scarsità sostiene che le persone attribuiscano un maggiore valore a ciò che percepiscono come raro, limitato o in via di esaurimento. L’idea è che, se qualcosa sta per finire, sento di dover comprarla subito, prima che sia troppo tardi.

Un articolo su Medium ha suggerito che, nel marketing, tale scarsità può essere espressa in quattro modi differenti. E cioè:

  • esclusività – ti sembrerà strano, ma un prezzo più alto aumenta il valore simbolico del prodotto. Se costa di più, è più difficile da raggiungere. E quindi, se ce l’ho, sono speciale (Apple lo dimostra benissimo al lancio di ogni nuovo iPhone);
  • rarità – un articolo prodotto in edizione limitata appare più desiderabile perché, di nuovo, possederlo mi rende speciale
  • urgenza – attribuire una deadline a un’offerta o alla disponibilità di un bene genera il bisogno di acquistare subito. Se aspetto, l’offerta terminerà e dovrò pagare a prezzo pieno. Se, invece, compro immediatamente e usufruisco dell’offerta, risparmio. È un’azione furba;
  • eccesso di domanda – collegandosi al meccanismo della prova sociale, l’eccesso di domanda causa il notevole aumento del valore percepito. Se tutti lo vogliono, deve essere di valore. E quindi, se non lo compro subito, potrebbe finire, perché tutti lo vogliono e lo comprano.

È chiaro che, perché funzioni, la scarsità deve essere applicata in modo saggio e ai prodotti giusti – compreresti uno spazzolino da denti in edizione limitata?

Teoria del framing

Nelle scienze sociali, il termine framing definisce la confezione di un elemento, la cornice che permette all’individuo di collocare, percepire, identificare e classificare eventi e fatti.

Secondo la teoria del framing, uno stesso prodotto può essere percepito in modi differenti a seconda di come viene incorniciato (=presentato). Supponiamo, ad esempio, di essere di fronte a due maglioni. Sull’etichetta del primo c’è scritto sconto del 20%, su quella del secondo paghi l’80%. Quale scegli di acquistare? In realtà, se ci rifletti, l’informazione è la stessa. Ma la dicitura sconto del 20% la presenta in modo più efficace – e, quindi, genererà più vendite.

Psicologia del consumatore e marketing digitale

I principi della psicologia del consumatore possono essere applicati non soltanto nei negozi fisici, ma anche in quelli online. Come?

UX e neuromarketing

La progettazione di una buona esperienza utente è fondamentale per il successo di ogni sito web, app e prodotto digitale. Se il visitatore giudica positivamente l’interazione con il sistema, infatti, è più probabile che continui a usufruirne – e che lo consigli ad altri. 

Perciò la psicologia del consumatore è un ottimo alleato del web design. Studiando il modo in cui le persone percepiscono e interagiscono con le interfacce digitali, è possibile impostare disposizioni, colori e percorsi che influenzino in positivo la percezione del brand e i tassi di conversione.

Personalizzazione e targeting specifico

La suddivisione del pubblico in base a interessi, tratti di personalità, motivazioni profonde e stili di vita consente di personalizzare i contenuti e le ADV, così da attirare efficacemente il target di riferimento.

I social media favoriscono questo tipo di attività. Osservando e misurando like, commenti, condivisioni e tempo speso su certi contenuti è possibile delineare profili dettagliati degli utenti e selezionare, così, le tecniche di marketing più adeguate. Il risultato? Maggiore engagement, fiducia e probabilità di conversione.

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